A volte, quando ci penso, vorrei ricordarmelo meglio. Ma le persone si ricordano non per la loro immagine, o per la loro voce.
Si ricordano per il vuoto che lasciano. Per tutto ciò che di loro abbiamo dimenticato.
Da un miniappartamento, pensato come un’astronave che decolli ed entri in orbita, muove l’Io narrante, che ricompone – in forma di diario minimo, attraverso i ricordi –, nel tempo dilatato e ferito della pandemia, volti, episodi, pagine d’archivio e biografie di amici scomparsi, approdando così a un’epica minore e a una filosofia tascabile dell’abitare.
Uno sguardo sospeso tra passato e presente che condensa e utilizza, con felice indifferenza e superamento di generi, narrazione e divagazione saggistica, ricostruzione memoriale e documento, progetto e bilanci, ripiegamenti e slancio, citazione e allusione, poesia e prosa: tutte forme, ciascuna a suo modo, in grado di contribuire a puntellare e a interrogarsi sul senso stesso della letteratura, sul valore intimo del percorso e sulle molle segrete dello scrivere.
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