Non la stessa speranza uguale per tutti ma speranze diverse, fluide e meno fluide, collettive e individuali, sentimentali oppure ideologiche, politiche come lavorative. Ho voluto ricordarlo in questi piccoli racconti personali, ma credo, a modo loro, anche simbolici, perché hanno rappresentato momenti importanti della mia vita dove ho sempre mescolato il pubblico col privato, il mestiere di giornalista con quello di madre, figlia perfino moglie da 50 anni dello stesso marito.
La speranza, per la nostra generazione, anche di fronte ai continui disastri, battaglie, stragi, terremoti e alluvioni, diverse sconfitte e qualche vittoria civile, soprattutto per noi donne, è stata il tesoretto cui spesso abbiamo fatto ricorso. Conserviamola bene.
Simonetta Robiony, sono nata a Napoli il 10 gennaio del 1948 insieme alla Repubblica ma ho sempre vissuto a Roma.
Ho un cognome straniero perché il mio nonno paterno era mezzo francese e mezzo tedesco. Ho fatto il liceo classico, filosofia con indirizzo sociologico alla Sapienza e uno dei primi corsi di giornalismo in quella che sarà poi l’università Luiss.
Ho cominciato a lavorare presso l’agenzia Inter-press a 20 anni, poi sono passata ad Annabella della Rizzoli nel settore attualità, infine, fino a pochi anni fa, sono stata a La Stampa per occuparmi di spettacolo e cultura: ho smesso di collaborare per mia volontà ormai sazia.
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