“La nostra speranza di vedere la democrazia vincere sul dispotismo ed espandersi
si trova continuamente di fronte ad ostacoli non previsti che deve superare senza alterare la propria natura,
ed è costretta ad adattarsi all’invenzione di novi mezzi di comunicazione
e di formazione della pubblica opinione”.
Norberto Bobbio, quaranta anni fa
Per Jules Verne, l’immaginifico scrittore francese, che nel XIX secolo volle descrivere in centinaia di romanzi e racconti le meraviglie del mondo futuro dominato da un sorprendente sviluppo tecnologico, capace di assicurare all’uomo il controllo e il dominio di tutte le cose, anche il giornalista avrebbe avuto un futuro radioso. In un racconto, intitolato Un giornalista nel 2889, descriveva quale sarebbe stata in America (il paese che rappresentava il futuro) la redazione di un grande quotidiano del XXIX secolo: un enorme edificio a quattro facciate, “misuranti ciascuna tre chilometri”, dove lavoravano, felicemente, migliaia e migliaia di giornalisti a diretto contatto telefonico con gli abbonati e dove il direttore, in permanente collegamento con i corrispondenti del suo giornale, diffusi in tutti i pianeti della galassia, era più importante e potente di qualsiasi capo di Stato. “Un buon mestiere quello del giornalista alla fine del ventinovesimo secolo!”, concludeva il suo racconto Verne.
Dalla prefazione di Giancarlo Tartaglia
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