Viola conosce pochissime parole e la maggior parte di queste sono insulti sporchi di tabacco e cioccolato. Il fatto stesso che questo libro sia entrato nelle nostre mani è un miracolo che si mostra nello scioglimento di tre misteri principali che dovremmo, in quanto lettori, provare a spiegarci.
Il primo mistero è quello della fede. Viola non si fida di noi, eppure la sua poesia ci concede di entrare in uno squarcio arredato dalla confusione dove qua e là possiamo infilare l’occhio in una toppa e spiare delle intime immagini di paura che si schiantano sul muro, irradiate dalla luce di un rumoroso proiettore Anni 70.
Il secondo mistero è il mistero della luce. Il luminoso bagliore di queste pagine viene fuori da delle spaccature e non è un caso se ogni “parte” di questo libro ci concede un lascito, un pezzo di autrice sgretolato. Un testamento. Un anello di famiglia. Una crepa. Un desiderio inevitabile. Un ritmo anestetico e ancestrale.
Il terzo mistero è il mistero della fiamma che brucia e riscalda. Il Drago, tra questi versi, ha aperto le sue narici e ha cosparso quel sospirato “tanto gentile e tanto onesta pare” di zolfo e cenere.
dalla prefazione di Giuseppe Piccolo
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