Roma, 7 settembre 1943. Ventiquattrore prima che, dai microfoni dell’Eiar, Badoglio annunciasse l’armistizio, sulla riva destra del Tevere, un sottufficiale di polizia viene rinvenuto cadavere. Suicidio, delitto maturato negli ambienti militari o, addirittura, delitto di Stato?
Un’accurata ricostruzione dell’atmosfera che si viveva a Roma nei giorni dell’armistizio, poco prima che il Re e il suo entourage lasciassero la Capitale, abbandonando mezza Italia a sé stessa, e che le note struggenti di Lili Marleen venissero sfrattate dal ritmo travolgente e catartico del boogie-woogie.
La memoria, lo sguardo, la passione e la lingua di Biggero ci fanno scoprire com’era, davvero, l’Italia di quegli anni. Gli anni inquieti, difficili, drammatici di un Paese in bianco e nero – più nero che bianco, in verità – che sognava di tornare a colorarsi di quelle tonalità che solo la libertà è in grado di regalare.
In Una tazza di caffè caffè, Biggero coglie quel Paese nel momento nel quale sta lasciando il posto al Paese della Settimana Incom: il cinegiornale che, dopo i traumi, le ferite e i lutti della guerra, accompagnava l’Italia verso una faticosa ma dignitosa e rigenerante rinascita.
Un’Italia, questa volta più bianca che nera, alla quale Biggero aggiunge qualche felice tocco di colore – il rosa di sentimenti e amori giovanili, il giallo di thriller e polizieschi, il verde della speranza e della voglia di futuro – ricordando a tutti noi che davvero l’ora più buia è sempre quella che precede una nuova alba.
Giuseppe Marchetti Tricamo
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